Che cosa si intende con “internazionalizzazione d’impresa”?
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare l’espressione non è sinonimo di “export”. Le esportazioni rappresentano infatti solo una possibile declinazione dell’internazionalizzazione.
Più di preciso, essa costituisce l’insieme di attività con cui un’impresa si apre a mercati esteri, creando rapporti con altre aziende, consumatori e istituzioni operanti in questi territori.
Quando lo sviluppo di queste relazioni avviene a livello commerciale, possiamo parlare di export.
Dopo avere analizzato le forme più diffuse d’internazionalizzazione ci concentreremo sulle opportunità e i rischi del processo, servendoci come sempre di esempi dal mondo B2B.
Inoltre, ci soffermeremo sulle modalità attraverso cui sviluppare un progetto d’’internazionalizzazione e gli strumenti a supporto di questo processo, con un occhio di riguardo per le PMI.
Le caratteristiche strutturali di quest’ultime determinano infatti percorsi di sviluppo estero molto diversi da quelli delle multinazionali.
Le forme dell’internazionalizzazione
L’internazionalizzazione d’impresa è un fenomeno complesso e sfaccettato, che non implica necessariamente la vendita di beni e servizi e tocca tutte le aree operative dell’azienda.
Ecco le sue principali tipologie oltre all’export:
- Internazionalizzazione delle forniture: avviene quando l’impresa stringe relazioni di fornitura in Paesi diversi da quello della casa madre. Il processo può essere dettato dalla volontà di diversificare la supply chain, dalla necessità di ridurre i costi delle materie prime o di individuare fonti di approvvigionamento molto specifiche non disponibili in patria.
- Internazionalizzazione dell’attività di ricerca e sviluppo: si verifica quando l’attività di R&D di un’organizzazione viene sviluppata all’estero in autonomia o tramite partnership con altre società, enti di ricerca o istituzioni di natura pubblica e privata. Un esempio è l’accordo tra un’azienda agroalimentare e un’università estera che collabora con il settore privato per lo studio di nuove tipologie di dolcificanti. Un altro caso è la creazione di una joint venture tra aziende di due Paesi per lo sviluppo di una tecnologia innovativa da utilizzare a livello industriale.
- Internazionalizzazione finanziaria: comporta l’ingresso in mercati finanziari esteri da parte di un’impresa. Anche in questo caso gli obiettivi possono essere molto diversi fra loro e includere la ricerca di nuove fonti di finanziamento, l’acquisto di strumenti d’investimento, l’acquisizione di quote in società di capitali e non solo.
- Internazionalizzazione produttiva: l’esempio tipico è quello della delocalizzazione, per cui un’impresa sposta o amplia la sua produzione all’estero. Gli ultimi anni hanno visto un’inversione del fenomeno per molte imprese occidentali, con il cosiddetto reshoring per riportare la manifattura di prodotti in patria o in nazioni vicine (in questo caso si parla di nearshoring).
Internazionalizzare la tua impresa: fattori da considerare
L’internazionalizzazione d’impresa costituisce un processo complesso e ricco di sfide, che richiede conoscenze, competenze e mezzi adeguati. Detto con altre parole: non è possibile essere internazionali senza un piano strategico.
Prima di approfondire i suoi elementi e le modalità per svilupparlo, vediamo di quali opportunità e rischi dovrebbe tenere conto un’azienda prima d’imbarcarsi in un processo d’internazionalizzazione, a prescindere dalla sua tipologia.
Le opportunità
La globalizzazione del secondo dopoguerra ha aperto le porte delle imprese a un mercato decisamente più esteso rispetto a un tempo.
Lo sviluppo di accordi economici tra singoli Paesi e istituzioni sovranazionali ha favorito questo processo: pensiamo solo per un attimo al mercato unico dell’Unione Europea, con un valore di 14.500 miliardi di euro nel 2021.
A livello teorico, questa situazione consente alle imprese, anche PMI, di cogliere importanti opportunità. Eccone alcuni esempi:
- Accesso più rapido a nuovi mercati con fasce di consumatori e imprese in linea con la propria offerta.
- Procedure legislative, doganali e amministrative armonizzate.
- Maggiore diversificazione dei mercati di sbocco e approvvigionamento, con una conseguente riduzione dei rischi operativi.
- Disponibilità di strumenti ad hoc per facilitare l’internazionalizzazione, realizzati spesso da organi interni ad autorità nazionali e internazionali.
- Possibilità di sfruttare le nuove tecnologie per individuare ed entrare in contatto con altre imprese e organizzazioni, in tempi ridotti e in modo più semplice.
Il fatto che oggi le aziende dispongano di più strumenti per internazionalizzarsi non significa tuttavia che questo processo sia semplice.
I rischi
Tra le insidie che un progetto d’internazionalizzazione porta con sé troviamo:
- Il rischio Paese: è connesso alla stabilità politica dell’area in cui si vuole operare. Ovviamente sarà più alto per quelle aree del mondo caratterizzate da regimi politici autoritaria, con elevata corruzione e tendenze antidemocratiche.
- Il rischio monetario: dipende dalle oscillazioni dei tassi di cambio della valuta utilizzata all’interno di un Paese.
- Il rischio economico: è lo stesso rischio affrontato normalmente dalle imprese nel Paese di origine, ed è legato alla volatilità della domanda e alla conseguente incertezza dell’attività imprenditoriale. All’estero questo rischio è di solito più elevato perché si ha una conoscenza meno approfondita del mercato e delle sue dinamiche, che possono cambiare rapidamente soprattutto nelle economie emergenti.
- Il rischio giuridico: è legato allo scenario legislativo del Paese, e coincide con la probabilità di incorrere in cause giudiziarie a causa di una scarsa conoscenza delle norme in vigore.
- Il rischio di credito è correlato alla possibilità d’insolvenza dei clienti nei mercati esteri. Anche in questo caso, la minore conoscenza del Paese, delle sue dinamiche economiche e dello stato di salute delle imprese determina un rischio più alto che in patria.
Strategia d’internazionalizzazione: come costruirla
Dopo aver visto quali siano vantaggi e rischi connessi all’internazionalizzazione, vediamo come è possibile gestire questi fattori.
Lo strumento essenziale a questo fine è il piano d’internazionalizzazione.
Si tratta di un documento in cui condensare obiettivi, dati e valutazioni relative al progetto dell’azienda.
Ovviamente, ogni realtà costituisce un caso a sé e ciò determina un’articolazione diversa del piano.
Prima di procedere con la sua stesura, c’è tuttavia un passaggio fondamentale per ogni organizzazione: il check-up iniziale. Vediamo di che cosa si tratta.
Siamo pronti per essere internazionali?
Il check-up rappresenta un processo per valutare il grado di preparazione di un’azienda che punta a essere internazionale.
Come abbiamo ribadito, questa attività non può essere improvvisata, ed ecco perché è necessario sapere a priori se si è pronti a farsi carico dei rischi e delle opportunità del progetto.
Ci sono quattro elementi che devono essere valutati:
- Il livello di determinazione presente in azienda: è necessario che il management e tutti i dipartimenti aziendali siano convinti di volere investire tempo e risorse nel progetto. Solo così si potrà essere davvero allineati sugli obiettivi e affrontare possibili incidenti di percorso.
- La conoscenza reale del prodotto/servizio: è essenziale conoscere davvero il proprio prodotto o servizio, i suoi punti di forza e di debolezza, i bisogni che ha soddisfatto nel mercato domestico, le modalità con cui è stato venduto, le esigenze in termini di fornitura e non solo. Solo in questo modo è possibile capire se e come adattarlo a nuovi mercati, nel caso di progetti di export, o più in generale che strategie sviluppare in loco.
- La capacità di adattamento al contesto internazionale: si tratta di possedere (o di poter reperire) le competenze con cui entrare nel mercato estero. Il primo scoglio è quello della lingua; il management deve essere in grado di comunicare nel modo corretto in ogni momento, e spesso è necessario avvalersi di specialisti in grado di fare da intermediari.
- La copertura finanziaria: qualunque progetto richiede i fondi giusti. Il check-up iniziale permette di capire quali siano quelli destinabili all’internazionalizzazione e se ci sia bisogno di servirsi di finanziamenti esterni.
Il piano d’internazionalizzazione: gli elementi fondamentali
Una volta verificata la presenza di tutte le condizioni necessarie, è possibile passare alla stesura del piano.
Ecco di seguito gli elementi che non devono mancare al suo interno:
- La definizione degli obiettivi: che risultati vogliamo ottenere all’estero? Con che tempistiche? Questo processo comporta l’analisi di informazioni sia qualitative che quantitative. Eccone alcuni esempi: i livelli di fatturato da raggiungere, il numero di nuovi clienti da individuare, le caratteristiche dei fornitori da trovare, le specifiche del prodotto/servizio che si vuole sviluppare
- L’analisi finanziaria: come vanno allocate le risorse del progetto? Che costi sono previsti? Qual è il ritorno sull’investimento atteso? Di che fonti esterne è necessario avvalersi?
- La selezione dei mercati target: quali sono le aree più adatte alla strategia? Che caratteristiche hanno in termini economici e culturali? Che occasioni di business offrono e qual è il loro profilo di rischio?
- L’individuazione dei partner: quali sono le aziende e istituzioni con cui stringere relazioni?
- La valutazione dei risultati: gli obiettivi iniziali sono stati raggiunti? Quali sono gli aspetti problematici da correggere? Quali invece sono da rafforzare?
Partendo da queste domande, vediamo come una PMI può costruire un piano d’internazionalizzazione.
Sviluppare il piano: un esempio dal mondo B2B
La struttura di una piccola e media impresa non è la stessa di una grande multinazionale.
Se la seconda può gestire un progetto d’internazionalizzazione in autonomia, avviando ad esempio dei centri distributivi all’estero, la prima dovrà procedere in modo diverso.
Immaginiamo ad esempio una PMI specializzata in stampi per componenti in gomma e plastica: un classico esempio di azienda manifatturiera italiana.
Forte di una presenza solida su tre mercati UE, la direzione dell’azienda decide di guardare alle opportunità di vendita nei Paesi Bassi, ancora inesplorati. Allo stesso tempo, emerge la necessità di riorganizzare la propria supply chain, optando per un fornitore estero che offra degli specifici macchinari.
Il primo passo è quello del check-up interno: l’azienda è davvero pronta per puntare su un nuovo mercato?
La conoscenza del prodotto accumulata in cinquanta anni di storia e un budget stanziato a inizio anno permettono di dare una risposta affermativa alla domanda. Per quanto riguarda la capacità di adattamento, l’esperienza pregressa in Paesi simili dal punto di vista economico e culturale consente di ridurre i rischi e le barriere culturali.
È il momento di definire gli obiettivi.
Per quanto riguarda la vendita, l’area commerciale punta a trovare almeno due nuovi clienti business, stabilendo una soglia minima di fatturato. Per i macchinari, viene deciso di concludere entro la fine dell’anno un nuovo contratto per l’acquisto di nuove macchine per la fresatura degli stampi.
Definito con precisione il budget a disposizione, si arriva a una fase cruciale.
Parliamo dell’analisi dei mercati target, sia a monte che a valle della catena del valore in cui opera l’impresa.
Il primo obiettivo è individuare potenziali clienti specializzati nella produzione di elementi di fissaggio in plastica per ilsettore automotive.
Riguardo ai fornitori invece, per la prima volta il produttore di stampi dovrà confrontare nazioni diverse e valutare quella più adatta per acquisire le macchine che l’attuale partner italiano non è in grado di offrire.
In entrambi i casi, la soluzione è rappresentata da un’analisi di mercato su misura. La prima ha l’obiettivo di mappare i produttori olandesi di fissaggi in plastica per il settore automotive, mentre la seconda permette di fotografare la concentrazione di potenziali fornitori in tre Paesi: Germania, Ungheria e Repubblica Ceca.
Conclusioni
Abbiamo visto che cosa si intende con internazionalizzazione e come questo concetto abbracci più ambiti.
Oltre all’export, l’internazionalizzazione d’impresa riguarda infatti anche le forniture, la R&D, la gestione finanziaria e la produzione.
In ogni caso, si tratta di un’attività complessa, la cui esecuzione deve essere preceduta da una valutazione dei rischi.
Il primo passo da compiere è tuttavia quello del check-up interno: l’azienda deve essere certa di possedere la determinazione, le capacità e i mezzi per approcciare un mercato straniero.
Una volta completata questa auto-analisi, è necessario definire un piano d’internazionalizzazione. Al suo interno devono trovare spazio:
- Gli obiettivi del progetto;
- l’analisi finanziaria;
- la selezione dei mercati target;
- l’individuazione dei partner;
- la valutazione dei risultati.
Per comprendere meglio queste fasi, ci siamo avvalsi di un esempio concreto dal mondo della manifattura, mettendo in luce il contributo delle analisi di mercato in due fasi fondamentali: quella dell’identificazione dei mercati e delle aziende con cui collaborare al loro interno.
In Matchplat abbiamo messo la tecnologia al servizio di questi processi, con l’obiettivo di rendere più rapida un’attività cruciale per l’internazionalizzazione d’impresa.
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