L’olio italiano è una delle tante eccellenze del Made in Italy che non ha bisogno di presentazioni.

La qualità delle materie prime, il gusto unico delle sue varietà e le proprietà organolettiche ne fanno uno dei simboli della dieta mediterranea.

Apprezzato in tutto il mondo, è uno dei nostri prodotti più ricercati dai consumatori all’estero. Quali sono i numeri del settore? Quali le opportunità e le sfide per le aziende ?

Olio italiano: immagine di alcune bottiglie

Olio d’oliva: le cifre del mercato

Nonostante le chiusure che nel 2020 hanno colpito il mondo della ristorazione, l’olio italiano ha saputo contenere le perdite all’interno di quello che sicuramente è un canale fondamentale per il fatturato delle aziende.

Le ragioni?

Principalmente l’ormai nota riscoperta della casa e della cucina a cui si è assistito nei mesi passati: un fenomeno che ha premiato l’ “effetto scorte” raccontato da Assitol, l’associazione italiana dei produttori del settore.

La conseguenza è stata un aumento del consumo medio pro capite del 9%, fino a un totale di 11,5 litri consumati lo scorso anno in Italia. A contribuire alle performance positive del settore, anche la crescita del consumo di alimenti contenenti olio come salse, vellutate, grissini e altri prodotti da forno.

La ripresa del turismo e il rilancio dell’Horeca porterà sicuramente a un’inversione di tendenza, ma non c’è dubbio sul fatto che l’olio d’oliva – e i suoi produttori – abbiano saputo dimostrare grande spirito di adattamento, in Italia e non solo.

Lo raccontano i dati di export dei Paesi produttori della UE, che a settembre 2020 hanno segnato un +15,6% rispetto verso le destinazioni extraeuropee, con ottimi risultati in nazioni come Canada (+28,1%) e Australia (+37,5%).

L’Italia nel 2020 ha saputo confermare ancora una volta il suo ruolo di primo piano: il nostro Paese è secondo al mondo per produzione, come evidenzia anche un report a cura di Fondazione Ambrosetti e Monini.

L’olio italiano si distingue nel settore agroalimentare per le proprie caratteristiche nutritive e in particolare l’extravergine è considerato un ottimo alleato per la nostra salute. Il merito è soprattutto degli acidi grassi monoinsaturi che migliorano la circolazione e riducono il rischio di malattie cardiovascolari.

Un beneficio che – unito al gusto – si è tradotto negli ultimi anni in una domanda estera in costante crescita. L’export è aumentato del 50% tra il 2012 e il 2020, raggiungendo gli 1,5 miliardi di euro.

Accanto a queste cifre, non mancano però le sfide per le imprese della filiera, al cui interno confluiscono realtà differenti: si va infatti da quelle specializzate nella coltivazione dell’oliva alle industrie trasformatrici, responsabili della miscelazione e dell’imbottigliamento del frutto della spremitura. A queste si affianco poi gli intermediari del circuito distributivo, in cui si inseriscono ad esempio grossisti e gruppi della GDO.

Le opportunità e le sfide per l’olio italiano

Senza dubbio, la grande crescita sui mercati stranieri continua a rappresentare un’enorme opportunità per il nostro olio.

Che la destinazione siano le industrie conserviere o le catene distributive, guardare al di là dei confini nazionali resta un’opzione ottimale per gli operatori del mercato.

Tra le aree più ricettive negli ultimi anni, si segnala a titolo d’esempio il Giappone, ottavo importatore al mondo e maggior consumatore d’olio tra i Paesi asiatici. Qui il nostro export è aumentato del 22% nel corso degli ultimi 5 anni, come riportato da Ansa, facendo dell’Italia il secondo fornitore subito dopo la Spagna.

Se da un lato dunque il mercato mondiale dell’olio mostra decisi segnali di sviluppo – le previsioni di Aboslute Reports parlano di un valore di $1815,1 milioni a fine 2026 – dall’altro la competizione  si fa più pressante per le aziende italiane.

Un quadro reso difficile dal calo della produzione che negli ultimi trent’anni ha interessato l’Italia: come indicato ancora una volta dall’analisi di Fondazione Ambrosetti e Monini, i volumi si sono ridotti del 36% dal 1990 a oggi. La recente epidemia di Xylella che ha colpito in particolare le piantagioni della Puglia è parte di un quadro più ampio dove emergono numeroso problematiche, tra cui la competitività della filiera che presenta ancora margini di miglioramento.

A questo fine, un primo passo verso il miglioramento sarebbe costituito dagli investimenti in tecnologia, soprattutto per quanto riguarda aziende agricole e frantoi: entrambe questa realtà presentano spesso modelli organizzativi e produttivi tradizionali che ne limitano l’efficienza.

Su un altro fronte, l’industria imbottigliatrice soffre notevoli difficoltà nel collegare in modo ottimale la produzione con la fase di trasformazione, puntando a ridurre i costi attraverso l’utilizzo di materie prime a un costo più basso (come quelle provenienti da Tunisia e Spagna).

Lo scenario resta dunque complesso, ma il grande apprezzamento che le nostre produzioni continuano a riscuotere può certamente fungere da stimolo per un rilancio della filiera, spingendo verso una crescita più decisa e una riorganizzazione dei modelli industriali.

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