Il supply chain management si trova di fronte a sfide enormi. Una realtà che tocca molteplici settori, con effetti sull’operatività delle imprese.
Il motivo?
Il caro materie prime, che oggi riguarda un numero elevatissimo di beni alla base di altrettante produzioni. La conseguenza è una riduzione dei margini di guadagno per le aziende, ma non mancano anche possibili ripercussioni per i consumatori.
In particolare, un aumento dei prezzi finali capace di minacciare la ripresa dei consumi.
La situazione: difficoltà per tutte le catene del valore
Legno, materie plastiche, rame, silicio, zinco ma anche grane e soia: questo è solo un breve elenco delle materie prime i cui prezzi sono schizzati alle stelle nel corso degli ultimi 12 mesi.
Ad esempio, il prezzo del rame è aumentato del 115%, mentre il rodio – una cosiddetta “terra rara” utilizzata per i collegamenti elettrici e le marmitte catalitiche – è aumentata addirittura del 447%.
In Italia, oltre l’80% delle imprese metalmeccaniche ha sperimentato negli ultimi mesi una risalita dei prezzi di materie prime e semilavorati, con pesanti effetti per l’industria, come racconta l’ultima Indagine Congiunturale a cura di Federmeccanica.
Ad aprile il legname da opera utilizzato dal settore delle costruzioni ha visto incrementi tra il 60 e il 70% rispetto a settembre dello scorso anno, come testimoniato da Federlegno.
Anche nel settore agroalimentare non mancano gli aumenti: più precisamente, il prezzo del grano ha toccato punte del +12% e la soia del 15%, con impatti per le aziende produttrici di derivati quali pasta e prodotti da forno.
Anche gli allevamenti stanno affrontando notevoli difficoltà, con i mangimi animali che secondo le analisi di marzo 2021 hanno registrato un aumento medio del 6,6%.
Il risultato, secondo Federalimentare, è un calo dei ricavi per le imprese del nostro Paese a fronte di volumi di produzione in crescita durante il primo trimestre dell’anno.
Spostandosi nel campo delle applicazioni tecnologiche, i microchip si confermano tra i beni più richiesti ma al contempo più difficili da trovare: l’impennata della domanda spinge i principali produttori ad adeguare i prezzi, con inevitabili rincari per gli acquirenti.
Le cause: ripartenze, magazzini vuoti e container fermi
Ma quali sono le motivazioni alla base di questo fenomeno?
I fattori hanno natura diversa e portata globale: in primis, una ripartenza simultanea della maggior parte delle economie mondiali.
La graduale riapertura di questi mesi e la risalita dell’export hanno causato un eccesso di domanda rispetto all’offerta: la necessità di riempire i magazzini vuoti con nuove scorte ha infatti spinto le imprese di numerosi Paesi ha incrementare la richiesta di materie prime in tempi brevi.
Il risultato è stato un aumento vertiginoso dei prezzi, aggravato da un rialzo costante dei costi logistici.
In particolare, come riporta il Sole 24 Ore, i noli marittimi dei container sono più che quintuplicati da giugno 2019 a oggi, e nello stesso periodo sono aumentati i ritardi delle navi a causa dei blocchi che hanno colpito numerosi i porti mondiali: ultimo in ordine di tempo quello di Yantian in Cina.
Accanto a un traffico mondiale congestionato e a una produzione in rapida risalita, si colloca poi la speculazione finanziaria sui titoli derivati legati alle materie prime. Quest’ultime sono diventate un investimento interessante, ma ciò ha inevitabili conseguenze per il loro prezzo finale.
Le soluzioni: una nuova organizzazione per le supply chain
Come affrontare tutto ciò?
La risposta non è semplice: chi si occupa di procurement si trova ora di fronte a sfide fino a qualche mese fa difficilmente prevedibili. Ma continuare a gestire al meglio la propria catena del valore resta un obiettivo di vitale importanza.
Si tratta senza dubbio di un processo ricco di sfide, ma a oggi resta un passaggio obbligato per chi vuole continuare a essere competitivo in un mercato mondiale sempre più complesso.
La parola d’ordine dunque potrebbe essere diversificare: ridurre la dipendenza da singoli fornitori, allargando lo sguardo a nuovi Paese per l’approvvigionamento delle proprie materie prime.
Nello scenario attuale è infatti diventato fondamentale avere a disposizione delle opzioni alternative per garantire la continuità delle proprie produzioni: gli stop al commercio mondiale e l’aumento dei costi di trasporto a cui si accennava in precedenza lo provano chiaramente.
La riorganizzazione delle catene di fornitura potrebbe inoltre passare dal reshoring, vale a dire la riconduzione in patria di alcune fasi del processo di approvigionamento e di produzione: una logica non applicabile in modo immediato, ma che potrebbe rendersi sempre più necessaria in futuro.
In ogni caso, il supply chain management si dovrà basare sempre di più su uno studio attento del mercato: la capacità di mappare aree geografiche inesplorate ma soprattutto la possibilità di selezionare gli interlocutori corretti al loro interno.
Gli economisti prevedono una stabilizzazione dei prezzi nel corso dei mesi successivi, ma per il momento il quadro resta difficile. Se da un lato le autorità europee stanno cercando di rispondere con progetti di lungo periodo come l’Alleanza per le materie prime allo scopo di ridurre la dipendenza dei Paesi UE dall’estero, dall’altro le imprese si trovano chiamate ad adottare ora nuove strategie.
Un impegno notevole, che spinge a guardare a nuovi Paesi e a modalità inedite per garantire la propria produttività.
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